Un focus sul complesso rapporto fra il sovraindebitamento familiare e le espropriazioni forzate individuali in corso al momento dell'apertura della procedura concorsuale o suscettibili in quella fase d'essere intraprese


1. L’introduzione del sovraindebitamento familiare

L’emergenza socio-economica determinata dalla pandemia ha acceso i riflettori sulle difficoltà dei consumatori e delle famiglie. Molto spesso il disagio economico si traduce in un vero e proprio sovraindebitamento.

L’incapacità di adempiere le obbligazioni produce i suoi effetti più deleteri proprio nel contesto dei nuclei familiari, costretti a fare i conti con una cronica insostenibilità degli impegni mensili e di quelli connessi alla vita quotidiana.

Quasi sempre nelle famiglie i debiti mostrano, tra l’altro, una matrice comune, che si collega ora al mutuo per l’acquisto della casa di abitazione, ora ai finanziamenti per l’auto, ora alle rette per gli studi universitari, ora all’escussione della garanzia rilasciata da un familiare a sostegno dell’attività intrapresa dall’altro e che abbia prodotto risultati ben peggiori di quelli sprati.

Il grado di compenetrazione fra la posizione dell’uno e dell’altro membro del consesso familiare è tale per cui una soluzione della crisi è realmente praticabile solo con il concorso e attraverso la sinergia di tutti.

Pur non prevedendolo espressamente, la L. n. 3/2012 consentiva perlomeno ai debitori coniugati di proporre una domanda congiunta finalizzata alla ristrutturazione del debito mediante un piano del consumatore, nel caso in cui il sovraindebitamento fosse generato da obbligazioni contratte per il soddisfacimento dei bisogni familiari più che del singolo.

La proposta di un unico progetto di affronto del sovraindebitamento consumeristico ben si giustificava in considerazione del fatto che i coniugi, quand’anche abbiano patrimoni distinti, vedono inevitabilmente sovrapporsi i rispettivi destini finanziari, scontando vicendevolmente le rispettive avversità.

Proprio con l’obiettivo di offrire una concreta corsia di recupero alle fasce più deboli della popolazione, la L. n. 176 del 2020, di conversione del c.d. Decreto Ristori (D.L. 137/2020) ha introdotto specifiche norme in materia di “sovraindebitamento familiare”, anticipando uno degli istituti certamente più innovativi del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che salvo proroghe ulteriori entrerà in vigore dal 1° settembre 2021.

Il nuovo art. 7-bis della L. n. 3 del 2012, veicolato dall’art. 4-ter della citata L. n. 176, ha innestato nell’ordinamento, in particolare, dell’istituto del “sovraindebitamento familiare”.

In ragione della novella, i membri della stessa famiglia possono accedere insieme ad un’unica procedura di composizione della crisi qualora convivano oppure quando il sovraindebitamento mostri un’origine comune.

Lo strumento rimane quello del piano del consumatore disciplinato dagli artt. 12-bis e ss. L. n. 3/2012, la cui disciplina si arricchisce di alcune peculiarità.

In applicazione del generale principio della responsabilità patrimoniale personale, le masse attive e passive relative alla posizione di ciascun congiunto rimangono distinte, il che vale ad evitare che porzioni del patrimonio di uno dei familiari siano destinate al pagamento dei debiti degli altri e viceversa.

Ogni componente della famiglia, in virtù di questa rigorosa distinzione, pagherà il proprio debito con i propri averi, ma tutti beneficeranno di un risparmio di costi, in quanto il compenso dovuto all’OCC sarà sopportato da tutti i membri della famiglia e fra costoro ripartito proporzionalmente ai debiti di ciascuno.

Nell’unica procedura si avrà una migliore performance organizzativa, poiché i familiari potranno coordinare al meglio i reciprochi apporti in funzione di una vera e propria strategia di superamento della crisi.

La soluzione del dissesto familiare non può essere assicurata, d’altronde, dal ricorso di uno solo dei due coniugi – magari all’insaputa dell’altro – soprattutto quando il ceto creditorio (si pensi al caso del mutuo cointestato sulla casa di famiglia) sia composto da titolari di pretese riguardanti entrambi i componenti della famiglia.

La lettera della norma, nel far riferimento ad "un'unica procedura di composizione della crisi", sembra escludere dal proprio ambito di applicazione le liquidazioni del patrimonio. È da credere si sia trattato di una svista, ma è necessario prenderne atto.

La “famiglia” viene individuata secondo un’accezione molto ampia, che comprende i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto.

Le condizioni di accesso al rimedio familiare sono alternative: la convivenza o l’origine comune dell’indebitamento, ossia l’unicità della causa che ha comportato l’attuale disagio.


2. L’apertura del procedimento e le esecuzioni forzate

Uno degli aspetti più complessi riproposti dalla recente riforma concerne il difficile rapporto tra la procedura di sovraindebitamento familiare e le esecuzioni individuali. Il patrimonio delle famiglie nella maggior parte dei casi è costituito – come si è detto – dalle abitazioni e il sovraindebitamento scaturisce assai spesso dalla sopravvenuta incapacità di far fronte al pagamento dei ratei del mutuo contratto per l’acquisto di queste.

In questo quadro, le esecuzioni forzate sono il rimedio immediato del creditore bancario insoddisfatto, mentre il sovraindebitamento finisce per essere avvertito dai debitori come un possibile strumento di contrasto dell’indebitamento fuori controllo e delle drammatiche conseguenze cui può condurre con riferimento al bene più caro: la casa. 

La riforma sembra lasciare inalterate alcune coordinate di riferimento sistematico, alle quali è anzi opportuno prestare ancor più attenzione.

Dagli artt. 12-bis e ss. si continua a ricavare un dato chiaro: l’emissione del decreto di apertura del sovraindebitamento familiare non comporta un effetto sospensivo generale e automatico sulle espropriazioni in corso, che vanno pertanto condotte in porto salvo diverse disposizioni.

È fisiologico, infatti, che la fattibilità stessa del progetto di superamento dello squilibrio economico che attanaglia la famiglia finisca per essere condizionata dalle iniziative espropriative avviate dai creditori. Le famiglie medie di solito non dispongono di molto di più che della casa in cui vivono e dei redditi da lavoro che i suoi componenti producono. Pertanto, se la casa o i redditi sono fatti oggetto di aggressione dei creditori ogni velleità di superamento graduale della crisi attraverso il pagamento dilazionato e percentualistico dei debiti finisce per naufragare.

Ciò nonostante nessuno degli averi del debitore si agevola almeno inizialmente di protezioni procedimentali. Non è all’uopo sufficiente la proposizione del ricorso congiunto fra i coniugi per mettere al riparo i beni e sterilizzare l’impatto delle espropriazioni subite dai membri della famiglia.

Nel piano del consumatore proposto dal nucleo familiare è, infatti, riservata al giudice la prerogativa di sospendere del discrezionalmente i procedimenti esecutivi in corso qualora pregiudichino la realizzabilità del piano di superamento della crisi finanziaria.

L’art. 12-bis, comma 2, L. 3 del 2012 prevede, infatti, che il giudice possa inibire la “prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata” quando “nelle more della convocazione dei creditori” gli stessi potrebbero pregiudicare la fattibilità del percorso di ristrutturazione dei debiti già intrapreso.


In definitiva il provvedimento di sospensione non è un atto dovuto, essendo subordinato al riscontro di un pericolo di pregiudizio al conseguimento degli obiettivi esposti nel piano dai componenti della famiglia.

In buona sostanza, il giudice potrà limitare, secondo la propria autonoma valutazione, la sospensione alle sole esecuzioni pendenti, individuandole analiticamente nel decreto di apertura della procedura.

Se ne ricavano due dati essenziali.

Il primo attiene all’impossibilità di bloccare le esecuzioni nella fase che va dal deposito della proposta e del piano e fino al momento di adozione del decreto che dà giudizialmente il via alla procedura, convocando i creditori.

Il secondo concerne la particolarità del blocco delle espropriazioni, che è delimitato dal giudice del sovraindebitamento familiare di volta in volta.

La sospensione “mirata” è, peraltro, subordinata ad un'esplicita istanza del debitore, che deve presentarsi motivata, dovendo indicare quali sono le esecuzioni che pregiudicano la fattibilità del piano e perché.

Nell’art. 12-bis si fa riferimento alla “prosecuzione” dei giudizi esecutivi, quasi a voler tagliar fuori i procedimenti esecutivi non ancora intrapresi. Su questi ultimi il provvedimento inibitorio annesso al decreto non dovrebbe poter incidere.

In realtà, sebbene la norma sembri riferirsi ai processi in itinere, un’esigenza analoga si pone con riguardo alle esecuzioni suscettibili di essere avviate, che del pari potrebbero pregiudicare la realizzabilità degli obiettivi inclusi del progetto familiare di superamento della crisi.

Pertanto, sembra plausibile interpretare la norma estensivamente e consentire al giudice di bloccare non solo le esecuzioni già incardinate, ma quelle in procinto di esserlo perché magari il debitore ha già ricevuto la notifica dell’atto di precetto. In effetti, l’art. 70 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza prevede che il giudice possa, su istanza di parte, disporre il divieto di iniziare azioni esecutive “fino alla conclusione del procedimento”. La norma, sebbene non ancora entrata in vigore, costituisce una bussola di riferimento interpretativo.


Essa innoverà, peraltro, anche sotto un altro versante, in quanto attribuirà al giudice la facoltà di disporre il divieto di azioni cautelari sul patrimonio dei debitori nonché di adottare le altre misure idonee a conservare l'integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento. Con ogni evidenza l’ordinamento sembra andare in una direzione orientata ad agevolare fin dove possibile la tenuta delle soluzioni concorsuali finalizzate al pagamento dei debiti. Occorre prenderne atto.

Il provvedimento inibitorio dovrà essere adottato guardando rigorosamente alle prospettive di fattibilità del progetto comune concepito dai componenti della famiglia per fronteggiare il dissesto.

Se l’istanza di sospensione del debitore dev’essere giustificata, parimenti ben motivato dev’essere il provvedimento che la accoglie. Il giudice del sovraindebitamento dovrà soffermarsi sul periculum della sospensione, quindi chiarire perché la singola esecuzione impedisca l’attuazione del piano, facendone saltare i “numeri”. La valutazione del fumus, viceversa, sembra implicita nella ritenuta sussistenza dei presupposti di ammissibilità del piano familiare.

La sospensione, in definitiva, deve palesarsi strumento necessario nella prospettiva della ristrutturazione.

Ciò esclude che l’inibitoria possa o debba essere pronunciata ogni qualvolta il piano adottato dal nucleo familiare
comunque preveda la liquidazione del bene già oggetto dell’esecuzione forzata in corso. In tal caso, infatti, la liquidazione in sede espropriativa del bene non crea alcun pregiudizio, bensì assicura il vantaggio di accelerare l’alienazione del bene, mettendone il ricavato a disposizione dei creditori in linea col piano di risanamento delle “casse familiari”.

In questa ipotesi, il giudice del sovraindebitamento dovrà, pertanto, assumere un provvedimento che blocchi la fase della distribuzione del ricavato nella procedura di esecuzione forzata, dovendo il prodotto della liquidazione essere riversato nella sede concorsuale per essere ivi distribuito.

In ciascuna ipotesi in cui veda recapitarsi il provvedimento inibitorio, il giudice dell’esecuzione si limiterà ad una formale presa d’atto ai sensi dell’art. 623 c.p.c., emettendo un provvedimento non soggetto a reclamo.

L'eventuale prosecuzione di un giudizio sospeso che per avventura dovesse avvenire potrà essere certamente essere contrastata con il rimedio dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. Ovviamente il provvedimento che respinge l'istanza dei componenti il nucleo familiare volta ad ottenere la sospensione di procedure esecutive in corso è reclamabile, venendo in rilievo per la procedura di sovraindebitamento le regole del rito camerale nei limiti della compatibilità. In tutta la fase temporale ricompresa tra la richiesta di nomina del gestore della crisi e il provvedimento di apertura della procedura di sovraindebitamento familiare, il debitore non beneficia, dunque, di alcun blocco delle iniziative dei propri creditori, che rimangono liberi di procedere con le azioni esecutive.

Neppure il giudice dell'esecuzione, infatti, in tale fase, come pure successivamente ad essa, è abilitato ad adottare provvedimenti di sospensione basati sulla circostanza della pendenza di procedura da sovraindebitamento familiare. Quella del giudice dell’esecuzione è, infatti, una posizione meramente passiva, che attende le determinazioni del giudice concorsuale al solo fine di prenderne atto.

Pertanto, sono inammissibili le eventuali istanze di sospensione ex art. 624 c.p.c., incentrate sul dato dell’avvenuta presentazione di un ricorso per l’ammissione alla procedura del sovraindebitamento familiare o della sua imminente apertura. In particolare, la sospensione non è giustificata neppure dalla nomina del gestore della crisi posto che la lettera dell’art. 12-bis inequivocabilmente lo esclude.

La scelta del legislatore di consentire la sospensione le esecuzioni pendenti solo in forza del decreto di apertura dovrebbe limitare le ipotesi di ricorso abusivo alla nuova procedura del sovraindebitamento familiare, ossia scoraggiare le iniziative meramente finalizzate cercare un riparo in extremis per i beni della famiglia.

Gli effetti della sospensione, qualora adottata, sono quelli descritti dall’art. 626 c.p.c. quindi “nessun atto esecutivo può essere compiuto” dal giudice dell’esecuzione” mentre quelli già perfezionati, come il pignoramento o l'aggiudicazione, rimangono validi ed efficaci. In particolare, qualora il bene sia già stato aggiudicato, il giudice dell'esecuzione dovrà tuttavia emettere il decreto di trasferimento, posto che l’art. 187-bis disp. att. c.p.c. prevede l'intangibilità degli effetti sostanziali dell'aggiudicazione.


3. L’omologazione della procedura e le esecuzioni forzate

L’omologa produce importanti effetti sul patrimonio del debitore e sulle procedure esecutive eventualmente ancora in corso, oltre che su quelle già sospese.

I creditori con causa anteriore alla data dell’omologazione non possono, infatti, iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari né acquisire diritti di prelazione. Ciò significa che tutte le procedure esecutive che riguardino beni del debitore diventeranno a quel punto definitivamente improcedibili, quand’anche non siano state interessate in precedenza da provvedimenti inibitori.

Alla cancellazione del pignoramento provvederà il giudice titolare della procedura da sovraindebitamento, naturalmente solo dopo la vendita.

Ovviamente la protezione del patrimonio del debitore riguarderà ex art. 12-bis, comma 2, L. n. 3/2012 soltanto i beni inclusi nel perimetro del piano familiare di affronto della crisi, non anche quelli che rimanendo estranei ad esso saranno utilmente pignorabili da parte dei creditori. Questo implicherà un’attenta verifica da parte del giudice dell’esecuzione in corso raggiunto da un’istanza volta a far emergere l’improcedibilità.

In astratto, può accadere che la procedura concorsuale cessi. In questo caso il creditore procedente o in sua vece altro creditore intervenuto munito di titolo esecutivo è legittimato alla riassunzione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 627 c.p.c.

L’improcedibilità, pertanto, non comporta affatto l’estinzione della procedura esecutiva pendente, che piuttosto viene semplicemente “congelata".

Il provvedimento di omologa del piano del consumatore proposto dalla famiglia non determina, tra l’altro, necessariamente il blocco della procedura esecutiva. Il liquidatore può infatti subentrare al creditore procedente, in ottemperanza a quanto previsto dal piano stesso. Sebbene, infatti, diversamente da quanto l’art. 14-novies, comma 2, prevede in tema di liquidazione del patrimonio, l’art. 13 L. n. 3 del 2012 non disciplini la possibilità del subentro del liquidatore nelle esecuzioni in corso, non vi è ragione di escludere che le stesse divengano uno strumento di attuazione del piano che, come noto, può assumere ai sensi dell’art. 8 comma 1 della legge richiamata “qualsiasi forma”. Da questo punto di vista il giudice dell’esecuzione non potrà che prendere atto dell’eventuale decisione dell’organo concorsuale di dar seguito all’espropriazione già in corso attraverso apposita riassunzione.